I designer nella stanza dei bottoni
Questo post nasce come risposta - o meglio, come integrazione - ad un post di Marzia Aricò, The Seat at the Table e ad una conversazione con un mio laureando.
Entrambe le ispirazioni (il post di Marzia, la conversazione con il tirocinante) hanno come fattore comune la frustrazione di molti designer nel riuscire ad avere un impatto e a promuovere il design centrato sull'utente.
“Until we have a seat at the table, it is impossible for us to generate impact.”
È quello che Marzia si sente spesso dire. Secondo molti designer, frustrati dalla difficoltà di promuovere una cultura del design, per poter fare in modo che il design abbia un impatto è necessario che il|la design leader possa entrare nella stanza dei bottoni.
Today, I will write about why I think this statement is utter bullshit.
scrive Marzia.
Sono d'accordo: sedersi al tavolo non è la soluzione; e vorrei motivare la mia opinione in maniera diversa (ma sostanzialmente in accordo) da come lo fa lei.
Il mio primo pensiero è che se per avere un impatto devi essere in alto nella scala gerarchica, significa che stai lavorando in una organizzazione verticistica. Poi, intendiamoci, desiderare di diventare Chief design officer è legittimo. È che io, da consulente, non ci potrò mai arrivare, e allora spero che si possa fare diversamente.
Anche nella conversazione con il laureando è emerso un problema simile. Lui durante il tirocinio voleva fare ricerca con gli utenti. Ha insistito parecchio (anche con il mio appoggio) ma non è stato facile. "Noi sappiamo di cosa hanno bisogno gli utenti" gli ha detto il capo del suo responsabile. E per riuscire a fare un test di usabilità con degli utenti veri il capo del suo responsabile ha dovuto chiedere il permesso al suo superiore.
Cultura aziendale
La tesi che voglio elaborare in questo post è che non può esserci una buona ux maturity in una organizzazione verticistica. Per poter argomentare questa tesi mi sono messo a cercare articoli sulle strutture organizzative (ho pure cercato verticistic, per poi scoprire che non è un termine inglese). Quello che ho trovato sono numerosi articoli sugli stili di leadership, e qualcuno sulla cultura organizzativa.
Ho scoperto che in letteratura esiste un gran numero di stili di leadership: transformational, transactional, autocratic, democratic, participative, charismatic, bureaucratic, visionary, managerial, paternalistic, laissez-faire, distributed, emotional, authentic, ethical, pragmatic, ideological, servant. E ne sto dimenticando qualcuno. E che l'enfasi è appunto molto più sulla leadership che sulla cultura organizzativa. Anche se, almeno per il mio discorso, i due aspetti possono essere tutto sommato intercambiabili.
Ma, più che allo stile in se, io ero curioso di capire le dimensioni, i contesti in cui i vari tipi di leadership si differenziano.
Secondo Al Khajeh (2018) i leader in una organizzazione hanno il compito di definire la visione, la missione, gli obiettivi, le strategie, le norme (policies), i metodi per raggiungere gli obiettivi dell'organizzazione in maniera efficace ed efficiente, e di dirigere e coordinare gli sforzi e le attività organizzative.
Ma quali sono le dimensioni in cui i vari stili si differenziano? A mio avviso è opportuno focalizzarsi su come i leader (o la cultura organizzativa):
- motivano i collaboratori
- definiscono gli obiettivi, le strategie e i metodi e chiedono ai collaboratori di implementarli
- gestiscono i cambiamenti
- gestiscono i rapporti delle persone
- tengono in considerazione i bisogni dei vari attori.
- organizzano la gestione della conoscenza e dei processi decisionali
Nei prossimi paragrafi elencheremo le diverse modalità in base ai differenti stili. Mi focalizzerò soprattutto sui due stili più citati, transazionale e trasformazionale, ma con alcuni accenni anche ad altri.
Motivare i collaboratori
Come i leader-le organizzazioni motivano i collaboratori? Ho deciso di partire da questo aspetto non solo perché è importante, ma perché è quello in cui è più evidente la differenza fra il modello transazionale e quello trasformazionale. Il primo fa leva principalmente sulla motivazione estrinseca: ti pago per fare il lavoro, se lo fai bene ti premio, ti promuovo. Eventualmente, se lo fai male ti punisco.
Il modello trasformazionale fa molto più leva sulla motivazione intrinseca: autonomia, crescita personale, sviluppo e applicazione della propria conoscenza, la possibilità di fare un lavoro che abbia un senso, un significato [@deci_self-determination_2017].
Nel modello carismatico è il leader, con la sua visione, il suo esempio, la sua capacità di coinvolgimento a motivare le persone. Nel modello burocratico ci si appella alle regole e regolamenti, mentre il leader autoritario non usa la motivazione ma i rapporti di forza.
Implementare le strategie
Nel modello carismatico è il leader che trasmette il messaggio. In quello autoritario il capo ordina e generalmente fa micromanagement, lasciando poca autonomia ai subordinati. In quello burocratico attraverso le regole, ma in maniera sclerotica.
Nella cultura transazionale virtuosa l'implementazione avviene attraverso le buone pratiche, le policy, i regolamenti e le linee guida, e attraverso la comunicazione - possibilmente chiara e diretta - dei responsabili ai sottoposti.
In tutti questi modelli l'approccio è sostanzialmente (o radicalmente) top-down: i leader, i manager prendono le decisioni e le trasmettono ai sottoposti. Il modello burocratico può essere visto come una degenerazione di quello transazionale.
Nel modello trasformazionale vengono definiti gli obiettivi e valutato il risultato, ma viene garantito un buon livello di autonomia. I leader definiscono le strategie, ma le modalità vengono co-progettate in maniera dialettica con le persone che dovranno implementarle.
Gestire i cambiamenti di contesto
Come le organizzazioni gestiscono i cambiamenti del contesto circostante?
I modelli autoritario e burocratico sono generalmente difensivi e hanno una attitudine passiva, finalizzata a mantenere lo status quo.
Il leader carismatico definisce una nuova visione che dovrebbe guidare la gestione dei cambiamenti.
Nel modello transazionale la leadership progetta delle riforme e chiede all'organizzazione di implementarle, in un flusso top-down.
La leadership trasformazionale, al contrario, fa leva sulla conoscenza delle persone, adotta politiche di open knowledge, e coinvolge l'organizzazione nella definizione dei modi in cui i cambiamenti vanno implementati.
Gestire le interazioni fra le persone dell'organizzazione
Nel modello autoritario l'unica interazione che conta è dal vertice giù nella gerarchia, la catena di comando.
In quella burocratica anche l'interazione e le comunicazioni sono stabilite dai regolamenti, e tende ad essere ferraginosa, come ci insegnano Asterix e Obelix.
Nel modello transazionale vi è una comunicazione dall'alto al basso degli obbiettivi, delle strategie, delle regole e delle linee guida. Le interazioni bottom-up sono prevalentemente finalizzate a ricevere dei feedback: i sottoposti riferiscono ai responsabili lo stato di avanzamento lavori (il famigerato SAL) e i risultati dell'implementazione delle attività programmate.
Il modello trasformazionale favorisce e incentiva non solo la comunicazione top-down, ma anche bottom-up e orizzontale, all'interno dei team.
Considerazione dei bisogni degli attori in gioco
Le azioni di una organizzazione possono avere un'influenza sui clienti, sugli utenti dei prodotti e servizi, sui membri dell'organizzazione, sui leader, sugli shareholders (ad esempio gli azionisti) e potenzialmente su altre persone e gruppi sociali che, più o meno direttamente, possono essere influenzati dall'operato dell'organizzazione (tecnicamente, i nonshareholding stakeholders).
La leadership autoritaria si preoccupa esclusivamente dei bisogni del leader e degli shareholders. Di fatto anche le aziende esclusivamente focalizzate sul profitto, anche se non esplicitamente autoritarie, si comportano in modo simile.
Le organizzazioni di stile transazionale hanno una visione contrattuale dei rapporti con i diversi stakeholder: contratto di lavoro per i dipendenti, carta dei servizi per i clienti/utenti e così via.
La leadership trasformazionale si focalizza su un approccio win-win, in base all'ipotesi che prendersi cura di tutti gli stakeholder è costoso ma, nel medio lungo termine, è non solo più etico e più sostenibile, ma più vantaggioso. Vi sono numerose evidenze che confermano questa relazione positiva. Ad esempio Eccles et. al. (2014) hanno studiato la performance di 180 aziende, di cui 90 (aziende ad alta sostenibilità) hanno attivato politiche di promozione della sostenibilità sociale ed ambientale, e novanta a bassa sostenibilità. Nell'arco di 18 anni le prime hanno avuto performance finanziarie significativamente migliori, confermando il principio "do well by doing good".
Un altro indicatore di sostenibilità è la ESG reporting - disclosure, la pratica di pubblicare, da parte delle aziende, le operazioni e i risultati legati all'impatto ambientale, sociale e di gestione. Vi sono alcuni studi che mostrano che le aziende che praticano la ESG disclosure hanno, in media, delle performance (ad esempio in termini di redditività) più alte delle aziende che non pubblicano queste informazioni.
Questo vale, ad esempio, per il mercato statunitense [Alareeni et. al. (2020)], per quello italiano [Carnini Pulino et. al. (2022)], e per quello britannico [Ahmad et. al. (2021)]. Inoltre, il legame positivo è più forte se se il top management è seriamente coinvolto in queste pratiche.
Benessere delle persone e delle aziende
Vi è una correlazione anche fra il benessere dei dipendenti e la salute economica e di mercato delle aziende. Le aziende che promuovono il benessere dei dipendenti sono più produttive (The Happy-Productive Worker Thesis).
Gestire la conoscenza
La conoscenza è una delle risorse più importanti delle organizzazioni e costituisce un vantaggio competitivo per le aziende [Migdadi (2020)]. La modalità in cui le organizzazioni creano, sviluppano, preservano, trasferiscono, disseminano e applicano la conoscenza ha un impatto molto importante sulla loro efficacia.
Lo sviluppo e l'utilizzo della conoscenza sono alla base della capacità di una azienda di apprendere ed innovare. Ma perché questo succeda è necessario che vi siano dei processi di ricerca e di apprendimento da parte delle persone dell'organizzazione, e delle forme di disseminazione e di comunicazione ad ogni livello e in ogni direzione: non solo dai superiori ai sottoposti ma anche fra pari e dai sottoposti ai superiori.
E dunque la gestione della conoscenza è un fattore molto importante della cultura aziendale, ed è necessario uno stile di leadership e una cultura aziendale che promuovano la condivisione di conoscenza, l'apprendimento e l'applicazione della conoscenza da parte dei suoi membri, incoraggiando i processi e di esplorazione di nuova conoscenza e di sfruttamento della conoscenza esistente (exploration and exploitation).
I processi di esplorazione si focalizzano sulla creazione di nuova conoscenza, mentre quelli di sfruttamento sono finalizzati a migliorare i processi.
I processi di exploiting innescano principalmente flussi di conoscenza top-down, mentre quelli di esplorazione si basano soprattutto sui flussi bottom-up e orizzontali, fra individui di pari livello [Mom et. al. (2007)]. Lo stile transazionale è il più efficace nei processi di sfruttamento della conoscenza (exploitation), in quanto la comunicazione è tipicamente top-down, mentre quello trasformazionale per sua natura abilita l'esplorazione [Donate et. al. (2015)]. Una organizzazione knowledge-oriented deve imparare ad integrare gli stili transazionale e trasformazionale, in un approccio che viene definito ambidestro.
La gestione della conoscenza implica anche la capacità di acquisire conoscenza dall'esterno dell'organizzazione, da numerose fonti: istituti di ricerca e università, altre aziende (in rapporti di collaborazione, ma anche di consulenza e formazione). Questo flusso di conoscenza è necessario per nutrire la capacità dell'azienda di innovare.
La cultura organizzativa orientata alla conoscenza promuove la condivisione della conoscenza da parte delle persone e identifica degli strumenti per superare le difficoltà nella condivisione e facilitare i processi innovativi.
I vari stili di leadership hanno dunque approcci diversi:
- nello stile transazionale si ottimizza e si applica la conoscenza per massimizzare i risultati e sfruttare al meglio le opportunità esistenti
- in quello trasformazionale si incentivano l'apprendimento degli individui e dell'organizzazione, e la condivisione della conoscenza. Si fa ricerca, si coltiva la conoscenza, si permette il cambiamento anche bottom-up, si fa innovazione incrementale e continua
- quello burocratico è più difensivo, finalizzato a mantenere lo status quo
- in quello autoritario el capo sa tutto, gli altri eseguono
La conoscenza dei clienti
Se la conoscenza è uno degli asset più importanti di una organizzazione, una delle fonti di conoscenza più importanti è la conoscenza dei clienti e degli utenti.
La gestione della conoscenza dei clienti (customer knowledge management) contribuisce in maniera significativa ai processi di innovazione e di raggiungimento della qualità di prodotti e servizi, anche nelle piccole e medie aziende [Chaithanapat et. al. (2022)].
Chaithanapat et. al. (2021) distinguono fra conoscenza sui clienti, conoscenza per i clienti e conoscenza dai clienti:
- la conoscenza sui clienti si ottiene attraverso strumenti di customer relationship management (CRM) o di acquisizione di dati degli utenti;
- la conoscenza per i clienti è, di fatto l'architettura dell'informazione: tutto ciò che i clienti-utenti hanno bisogno di sapere;
- la conoscenza dai clienti è quello che l'organizzazione impara coinvolgendo i clienti e facendo ricerca con loro. La relazione fra l'organizzazione e i clienti-utenti permette di co-creare conoscenza.
Affinché l'interazione con i clienti-utenti sia profiqua, però, è necessario che l'organizzazione sia capace di integrare la conoscenza che emerge nella ricerca con le persone con la conoscenza già esistente nell'organizzazione, e di tradurre la nuova conoscenza in prodotti e servizi. Questo processo di assimilazione però è tutt'altro che banale (è il tema del mio post sulle insidie della ricerca: come evitare risposte poco affidabili). Storey et. al. (2018) definiscono la trasformazione della conoscenza come quel processo che, a partire dalla embedded knowledge (la conoscenza implicita dei clienti-utenti e degli esperti di dominio) produce embodied knowledge (la conoscenza che prende forma nei prodotti e nei servizi).
Cultura organizzativa e UX maturity
Se penso di dover trovare posto al vertice affiché il mio lavoro abbia impatto, significa che sono in una organizzazione che - nel migliore dei casi - applica un modello transazionale rigido, comunque top-down.
Ma un approccio esclusivamente top-down è incompatibile con il concetto di user centered design, che si basa sulla possibilità di raccogliere, elaborare e mettere a fattore comune la conoscenza dai clienti e dagli utenti. Una cultura verticistica sarà portata ad ignorare la conoscenza dai clienti, e a sottovalutare la conoscenza sui clienti.
Solo una leadership e una cultura organizzativa trasformazionale possono avere l'attitudine e la capacità di fare tesoro della conoscenza che arriva dal basso o dall'esterno.
E la UX maturity di una azienda (o una pubblica amministrazione) è fortemente vincolata da questa attitudine. Se l'organizzazione è incapace di incentivare le attività di esplorazione, di ricerca, di apprendimento, di favorire la disseminazione della conoscenza ad ogni livello e in ogni direzione, di integrare la nuova conoscenza in quella esistente, la UX maturity sarà necessariamente bassa, e al designer sarà chiesto di colorare i wireframe o poco più.
Perché, almeno come la vedo io, il ruolo del design è proprio quello di trasformare la conoscenza emersa e co-creata con gli utenti e gli esperti di dominio in un prodotto o servizio.
La UX research è alla base dell'esplorazione e dell'innovazione. E il processo di design potrebbe essere utilizzato anche per progettare proprio la struttura organizzativa, la gestione della conoscenza e la cultura organizzativa.
UX e processo transazionale
La ricerca, bottom-up, è per sua natura trasformazionale. Ma ci sono almeno due contesti in cui chi si occupa di design può offrire un importante contributo anche nel processo transazionale di exploitation: le linee guida e il design|research ops.
Design ops
Il design ops è la coordinazione e l'ottimizzazione dei processi, delle persone e delle tecniche al fine di aumentare il valore e l'impatto su larga scala delle attività di design all'interno dell'organizzazione. Lo scopo del design ops è quello di massimizzare l'efficacia e l'efficienza dei team di design, la collaborazione e la qualità del lavoro. E questa definizione (che, lo ammetto, mi è stata suggerita da GPT 4) è del tutto in linea con l'idea transazionale di massimizzare l'uso dei processi e della conoscenza esistente (exploiting).
Dopo aver letto la newsletter, Domenico Polimeno in chat mi ha ricordato che, se fatto bene, il design ops può avere un impatto anche di tipo trasformazionale.
Design system
Anche il design system, sia nella sua accezione più ristretta di un insieme di componenti da riutilizzare, ma soprattutto nell'accezione più ampia che include linee guida, principi di design, pattern e best practices costituisce un'ottimo strumento di exploiting transazionale per ottimizzare il lavoro e garantire coerenza e consistenza nell'esperienza d'uso. E i principi più generali del design system possono e dovrebbero integrarsi con i principi, i valori e le policies dell'organizzazione, contribuendo a definire e a rendere esplicita la cultura organizzativa.
Design e "ambidestrismo"
I tre percorsi del design: (1) bottom-up nella fase di esplorazione e ricerca, (2) disseminazione grazie alla sintesi, all'elaborazione della conoscenza, e (3) top-down nella progettazione sono l'esempio più chiaro del concetto di ambidestrismo, ovvero della necessità di integrare l'approccio transazionale e quello trasformazionale, l'esplorazione e l'ottimizzazione. Promuovere un approccio user-centered significa facilitare una cultura organizzativa ambidestra, capace di esplorare, di imparare, di adattarsi, di valorizzare le persone dentro e fuori l'organizzazione, di ottimizzare, di standardizzare, di essere più sostenibile e, alla lunga, più solida e più redditizzia.